Muovendo in passi dalla psicoanalisi di Freud, la psicologia del profondo a indirizzo analitico archetipico con autori come Jung e Hillman, elabora una prospettiva di lavoro psicologico e terapeutico prendendo in esame le esperienze spontanee dell’inconscio negli individui di ogni luogo e tempo. Si sviluppa un’idea di psiche collettiva accanto a una psiche o inconscio personale (frutto di esperienze personali), in cui ricorrono forme simboliche cariche di energia affettiva. In antropologia vengono chiamate rapresentations colletives (Levy Bruhl) e sarebbero immagini fantastiche e mitologiche comuni sia agli uomini arcaici che a quelli moderni. Queste forme originarie tendono ad attivarsi spontaneamente sia in condizioni di patologia che in in assenza di stati morbosi, e sono in grado di creare impatto psicologico forte.
Lo studio sistematico di queste forme fa emergere l’esigenza di riconnetterci alla natura psicologica di cui siamo composti dalle nostre origini, dimenticata nel corso dell’evoluzione faticosa della coscienza umana verso un’apparente e labile unità in cui ci identifichiamo: l’ego.
L’olismo in Jung consiste nel cogliere la spinta autonoma della psiche profonda a tendere verso una meta di totalità, che trascende i limiti della nostra esperienza psichica soggettiva e autoconservativa, per accedere alle numerose potenziali modalità psicologiche contenute nelle profondità psichiche. Risolvere questa separazione interiore conduce idealmente a una meta: il “Sé” come risultato della consapevolezza dei prodotti psichici dell’inconscio collettivo. Questa immagine è ricorrente nella cultura umana: nella pratica Buddhista del mandala-cerchio, simbolo della mente del Buddha, o in varie tradizioni religiose o esoteriche come simbolo originario di espansione di coscienza. Ebbene, di questa espansione di coscienza possiamo dire, gli individui ne farebbero esperienza spontaneamente attraverso i sogni e le fantasie immaginative ma non sanno come integrare i contenuti emergenti; dall’immaginazione spontanea prendendo spunto dalle tecniche meditative degli yogi, Jung elabora la tecnica psicologica chiamata “immaginazione attiva”.
La via regia verso la psiche profonda è il sogno, ma anche ogni prodotto dell’immaginazione umana come l’arte, le tradizioni spirituali, gli usi e i costumi: questo materiale è sempre riconducibile a una o più rappresentazioni originarie che uniscono alle modalità ancestrali di espressione spontanea della specie umana.
Curata la psiche nella sua totalità e complessità, ri-connessa la psiche soggettiva o cosciente con l’inconscio collettivo e le potenziali esperienze dell’intera stirpe che appaiono come simboli collettivi (immagini originarie), si potrà portare la nostra armonia psicologica anche nel mondo, intendendolo come natura-cosmo. Come? Accettando tutti fenomeni che accadono dentro di noi e fuori da noi, perché in grado di rivelarci giorno per giorno la realtà, non come la vogliamo ma come è oggettivamente.
Il fatto che in fisica delle particelle di materia vengano meno il determinismo e il causalismo (principi su cui poggia la scienza materialistica), e regnino fenomeni di connessione e incertezza sulle cause alla base di alcuni fenomeni, Jung ritrova anche in questa disciplina (oltre che nell’arte, simbologia, mito, discipline spirituali, antropologia, e altre scienze) analogie significative con la psicologia dovute ai confronti con altri studiosi del suo tempo. Il metodo comparativo gli ha permesso di descrivere la complessità della psiche inconscia osservando la complessità della natura descritta dalle varie discipline, andando così oltre le visioni biologiche che intendevano la psiche soltanto come un epifenomeno cerebrale.